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1975-1988


Pope, Portogruaro 1986

di Diego Collovini

Credo sia alquanto difficile dire di sè e delle proprie esperienze all'interno delle prospettive estetiche contemporanee, che, purtroppo, oscillano tra il riproporsi e il rimostrarsi, non scrollandosi di dosso le realtà e i momenti sociali che le hanno generate. Ogni artista viene cosi a misurarsi più con le proprie esperienze che con nuove tendenze artistiche, rinchiudendo nel contenuto (con-tenere) solamente la propria soggettività e la propria storia di artista.

Per questo le nuove opere di Pope narrano pittoricamente le conoscenze e i modi di fare arte esperiti in questi vent'anni: la costruzione geometrica - che rimane ancora la struttura fondamentale del suo ordine razionale - di quadrati, di rettangoli proposti in trittici, oscillanti nello spazio, ma ben definiti all'interno del campo della proposizione; il colore che riprende dagli ultimi monocromi, a loro volta rispecchiantesi nell'operazione "cancellazione/museificazione" delle velature e trasparenze bizantineggianti; l'informale, prima proposta immediata e personale, qui quasi un lavoro di leggero ma violento intarsio, entrando ed uscendo dalla materia con piccoli, ma determinanti, scatti di colore che fluttuano proponendosi come nevrotiche ed incerte note cromatiche; il costruttivismo, gioco razionale di nuove forme inventate nella e sulla materia racchiusa in uno spazio geometrico compositivo, si insinua con una vistosa lacerazione all'interno della superficie e ne idealizza la lettura di uno spazio carico di tensione e di contraddizioni: razionale o gestuale, colore o trasparenza, superficie o materia?

Anche della Gestalt rimane ancora qualche traccia, pur non più chiaramente visibile e fondamentale come in passato, ma che richiama lo studio e la conoscenza delle capacità percettive dell'occhio e del mostrarsi del colore: un invito a seguire un percorso dall'alto verso il basso, dal centro alla periferia, un viaggio attraverso analogie e sovrapposizioni, tra tagli di luce a volte ampi, a volte ristretti fino alla scomparsa, sorpassando, in questo girovagare per la tela, tutte le proposte semanticamente significanti e significative dell'esperienza pittorica dell'artista.

Tutta l'opera recente di Pope non va nè letta nè considerata all'interno di vecchie o neo-nuove correnti estetiche, ma come una narrazione pittorica soggettivamente personale, che negli stili e nelle forme emana tutta la tensione che il pittore non ha totalmente o parzialmente saputo concretizzare in passato, ma che si è venuta a definire proprio all'interno del conflitto tra soggettivo e oggettivo, nell'eterna contrapposizione del produrre e del vedere, nell'inconclusa tensione tra ordine geometrico e prepotenza espressivo informale, tra la pittura in quanto colore primario e puro o in quanto trasparenza, nel complesso esperimento sulla mutabilità e mutevolezza del colore, sulla sua definizione e percezione, tra la complessità della forma immaginaria e quella quasi scultorea che si viene a produrre nella costruzione del telaio.

Pare dunque che si debba parlare piu’ di lettura, che di interpretazione delle opere di Pope, e che la chiave vada ricercata proprio all'interno di quell'ambiguità che solo l'arte è capace di realizzare, quell'ambiguità definita come stato di fatto o situazione con possibilità di letture diverse come proposta di momenti alternativi autoescludentesi, ma che lasciano, al momento della visione e della percezione dell'opera, la reale tensione - anche se spesso in fase di ricerca - che l'artista incontra quando il pennello percorre la tela lasciando innumerevoli tracce, dicevo prima nevrotiche perché nel segno, sia questo razionale che gestuale, rimane l'orma della complessità delle nuove costruzioni di Pope.

In questa indeterminatezza la definizione estetica trova la sua vera dimensione di oggetto nuovamente posto nella fase di continua evoluzione e riproposizione, pur mantenendo intatte le funzioni che l'hanno generata proprio perché profondamente soggettive ma ugualmente riflessive nel campo della globalità delle esperienze dell'artista.

Diego Collovini

Portogruaro, 1986




 

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