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1989-2002


Pope, Portogruaro 1991

di Diego Collovini

La forza emozionale di una forma assoluta è senza uguale e non può essere sostituita da nessun altro mezzo.
K. Malevich


Nelle opere di Pope non vi è una netta distinzione tra colore e superficie. Il colore ha in effetti uno spessore, una materiaiità che tende alla costruzione della superficie stessa, la quale spesso si mostra come specchio tautologico di un predeterminato percorso cromatico. I colori sono collocati nello spazio pittorico, che viene però già determinato formalmente dalla costruzione materiale della superficie. Questo modo di procedere da parte dell'artista non va privilegiando un solo elemento sintattico dei linguaggio astratto, anzi ne tende a combinare diversi contemporaneamente e ciò porta lo spettatore ad indirizzare la lettura verso il prodotto estetico risultante: la forma. È proprio la forma che si fa presenza assoluta ed immediata e tale da stabilire una certa priorità nei ruoli che vanno assumendo i diversi componenti linguistici.

Non pare quindi un caso che le opere meno recenti di Pope abbiano attraversato consapevolmente - e non senza un parziale coinvolgimento - molte delle esperienze che hanno caratterizzato la ricerca degli anni sessanta e settanta, anche se poi il suo fare arte si è comunque mantenuto fedele a tutte le sue problematiche che hanno contraddistinto sia la pura ricerca che la storia della pittura, privilegiando, in questa conseguente evoluzione artistica, la fase analitica degli strumenti linguistico-sintattici dell'arte astratta. Ecco dunque perchè viene così spontaneo individuare una certa identità tra colore, superficie e, di conseguenza, forma. E non è quindi un caso che questi elementi, pur distinguendosi tra loro per definizione e per adoperabilità, tendano a confondersi in quell'offrirsi come unica interpretazione di un medesimo spazio.

Ma Pope non limita lo spazio pittorico alla sola bidimensionalità offerta da un singolo quadro, ma amplifica ulteriormente la portata visiva dell'opera in quanto viene utilizzando lo spazio visivo-percettivo assoluto della dinamica dei colore e la sua conseguente fruizione attraverso vibrazioni e trasparenze. Il quadro, come tela tesa sul telaio, non può essere solamente il luogo sul quale viene ad essere depositata, per essere resa visibile, un'idea di arte, è certo il uogo in cui si organizza una particolare situazione spaziale che deve poi essere trasformata in percezione pura, priva quindi di ogni azione mediatrice della conoscenza di altri estremi valori. Non è dunque una semplice sequenza di immagini che propone allo spettatore una certa lettura secondo parametri ben stabiliti da regole psicologiche o fisiche predeterminate, anzi dalla visione di queste opere scaturisce una lettura che non privilegia una singola parte ma tende a muovere verso un'analisi della combinazione o della composizione dei tre elementi costitutivi il suo fare arte: superficie, forma e colore.

Il quadro, nella sua composizione più generale, viene realizzato con uno spessore tale da allontanarlo dal supporto sottostante, rasentando quasi la costruzione di una forma tridimensionale, pu.r non essendo per questo l'opera una scultura, ma soltanto un Corpo con le qualità proprie di un oggetto. Questo spessore richiama, già nel suo primo offrirsi, una visione che va ad analizzare in particolare la costruzione, la composizione nello spazio. Il dittico, il trittico sono formule che inducono ad una osservazione dell'insieme, come una necessaria unione tra due o più elementi, come se, in questa oggettiva unione, vi possa essere una sorta di complementarietà tra le diverse superfici. Oppure uno dei due elementi può operare una funzione ideale di registro, come un momento di contrasto per una lettura dialettica, come a suggerire un'astratta posizione di confronto tra due soluzioni artistiche dialetticamente in contrapposizione. La presenza dei dittico, come pluriespressione di uno stesso fare pittura, trova certamente ispirazione dall'esperienza intrapresa e per certi versi tecnicamente ed esteticamente ben risolta - negli anni settanta dei Percorsi Variabili. Questi seguivano un ordine razionale, quasi geometrico nella disseminazione sul muro, e la forma spaziale che ne scaturiva non era determinata solamente dallo spazio fisico ed individuale dei quadro, ma da un percorso dinamico e riflessivo - e quindi di confronto - su una superficie diversa da quella dei quadro stesso, per cui risultava necessario adoperare un ulteriore sostrato, dalle notevoli dimensioni e, nello stesso tempo, indipendente dalla qualità estetica dell'opera proposta. Il ripetere, in rapporti formali e cromatici diversi, tale operazione significa ridisegnare una nuova interpretazione e intraprendere una rilettura di quell'interessante e, per certi versi non dei tutto esaurita, proposta linguistica.

Nel contempo neanche la forma, che viene modellandosi nel movimento materico o superficie, non è poi sempre così sottolineata da una precisa ed evidente separazione cromatica. La stessa forma, quando viene proposta nei monocromi bianchi, non appa,e immediatamente percepibile come in altre opere maggiormente definite attraverso l'utilizzo del colore. La limitazione della pittura - se così può essere definita - nella costruzione formale deriva proprio dalla diversa utilizzazione della materia. La stratificazione del bianco, attraverso una materia così indefinita e così mobile, appare segnata da un gesto lento, pacato, ripetitivo che riempie quasi tutta la superficie, disegnando cosi le tracce di una riflessione sul movimento dei pennello, sulla corposità di un colore quale risultante di molteplici stratificazioni cromatiche attraverso un'azione gestuale che non pare sione di una mera negazione. Non è questa - come gran parte degli storici dell'arte vanno sostenendo - un'azione prevalentemente negativa fatta di cancellazione o di rimozioni che vanno via via ad evidenziare una personale condizione di rivolta e di rifiuto. Il gesto di Pope invece è molto breve ma infinitamente ripetibile che, pur realizzando una superficie dal tessuto spesso e fitto, è comunque uno scandire inconsciamente il tempo attraverso l'azione conseguenziale dell'occupazione dello spazio. Ma quest'azione è pur sempre positiva, perchè viene comunque posta in fase di costruzione formale, e non quindi come distruzione o cancellazione della stessa.

Non si vuoi con questo proporre una lettura della pittura di Pope strettamente legata al generi che hanno avuto il segno o il gesto come elementi di distinzione, quando evidenziare la presenza nelle sue opere di un segno molto pacato e riflessivo, che non vuole sottolineare la presenza di un fatto decisamente emotivo e per questo di forte emozione. Al contrario, la sua è un'azione quasi sempre sorretta da una forte presenza razionale, che va trovando una propria definizione proprio nell'occupazione della superficie esistente fuori da quella utilizzata dalla pura azione pittorica. L'artista cioè costruisce abilmente con il colore - non per questo va rifiutando preventivamente anche materiali diversi - una forma semplice, incerta ed irregolare nella definizione geometrica, ma distinta da una precisa collocazione nello spazio. Una forma dunque che trova un'ulteriore giustificazione (se non interpretazione) estetica all'interno di quello che a suo tempo aveva espresso Argan, per cui "la sola giustificazione dell'arte è un'intenzionalità operativa. L'artista esiste ed esiste perchè fa".

Scaturisce da questa interessante affermazione un apparente contrasto tra due modi diversi, ma complementari tra loro, di fare pittura: da un lato una progettualità come espressione di un pensiero razionale ed ideale, dall'altra invece si privilegia un'abilità più vicina all'operabilità dei materiali che caratterizzano questo modo di fare arte. Nei tondi bianchi, dove la forma dei quadro è la negazione di un preciso rapporto logico tra verticalità e orizzontalità, l'artista si muove all'interno di una superficie quasi virtuale nella quale non si possono a priori privilegiare né le forme orizzontali né forme verticali. Tutto avviene dentro uno spazio che, nei suoi confini perimetrali, nega un inizio o una fine. La pittura di Pope, pur abbandonando riferimenti certi, muove perciò da un principio: dalla costruzione e solo in un secondo momento si viene delineando una falsa profondità visiva che, nell'apparente incertezza cromatica, induce ad una lettura ancora più attenta, più ricercata, quasi un percorso tendente a scoprire preziosità inaspettate e nascoste nella complessa tramatura cromatica. Immagini fatte di sensazioni, di movimento e di trasparenza, che difficilmente possono essere giustificate con l'ausillo di una concezione ideale della pittura e dei colore. Una concezione purtroppo che a stento riconosce il bianco come colore, in quel giocoso tentativo di elevarlo al massimo grado di materia utilizzando però gli strumenti propri della pittura.

L'assenza del puro contrasto cromatico nelle opere monocromatiche di Pope non induce certo a riflessioni che portano verso un'identificazione della sua pittura con altre esperienze più famose ed esteticamente più redditizie proprie dei passato. è vero che la pittura, in un certo senso, è strettamente connessa all'utilizzo dei colore, ma è anche ormai condiviso da tutti che la stesura monocroma tende alla distruzione e alla negazione della pittura stessa attraverso il fare praticamente pittura; induce cioè, in ultima analisi, ad una costruzione di un essere altro dal colore, una superficie, una forma, un corpo, ecc. Per Pope vi sono esperienze anteriori a questa che lo hanno indotto a servirsi della stesura monocroma nel tentativo non tanto di azzerare la sua pittura, quanto di interrompere un ciclo per poi procedere verso una ricostruzione compositiva che si serve della somma dei linguaggi fino ad allora esperiti nei trent'anni di attività d'artista. L'assunzione degli strumenti espressivi - come un vocabolario dal quale poi attingerne le particolarità - non porta a rendere protagonista un determinato linguaggio piuttosto che un altro, anzi il loro accostamento va a privilegiare una lettura che vede coinvolti tutti i componenti linguistici, che vanno man mano assumendo, nella loro portata espressiva, una funzione di riferimento, di confronto, di registro, di ampliamento, o ancora di alternativa. L'atteggiamento che ultimamente viene assumendo Pope - e in particolare nei grandi tondi bianchi - è quello della lenta e progressiva eliminazione/negazione degli stessi elementi finora utilizzati. Questo progressivo impiego di un minore numero di elementi linguistici - dalla chiara matrice minimale - esce da una mera funzione denotativa e tende ad acquisire, lentamente, ma progressivamente, una maggiore autonomia. Ed è forse per questo che nelle opere di Pope il contrasto fra il rosso ed il nero non porta alla creazione di un intenso rapporto emozionale strettamente legato alla significanza del colore, quanto alla ricerca di un equilibrio tra i pochi elementi utilizzati, per cui lavorare per Pope è percorrere una strada alla ricerca di un equilibrio capace di definire l'opera in sé, all'interno di una logica priva dei tanti facili riferimenti psicologici o meri esercizi analitici della pittura.

Si tratta dunque di realizzare un'opera il cui equilibrio formale viene a definirsi con tecniche gestuali raffinate, con l'azione dei dipingere e del sovradipingere, le quali denotano anche una conoscenza - contraddistinta da un intenso amorelodio - della Scuola di New York, della quale Pope ne apprezza la forza cromatica, l'impostazione formale, ma ne prende le distanze attraverso un formalismo razionale e programmatico. Questo spiega anche perchè una delle azioni pittoriche dell'artista mira a ridurre l'ipoteca dell'emotività nel tentativo di identificare, nel modo più ampio e convincente, le definizioni di spazio e di campo visivo. P il quadro da solo, nella sua fisicità, che è depositario dell'identità tra il pensiero e l'apparire, e questo induce ad un procedere non attraverso una sola immagine, ma per sequenze d'immagini, per cui nessuna può essere privilegiata, né può essere più significativa di altre.

La ricerca segnico-materica proposta dalle opere dell'artista annulla così ogni limite che lo spazio va proponendo come momento di riflessione sull'interiorità dello spirito e della ragione. E il pittore intende uscire da quella fase di progettualità, con gli strumenti della materialità per depositarne, attraverso l'azione del fare sull'elemento esteriore, sull'opera quindi, dei segni come terminazioni nervose pacate e rfilessive su un modo di intendere e comunque di ripensare la pittura.

Maggio '91

Diego Collovini




 

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