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1975-1988


Pope, Bologna, giugno 1977

di Giorgio Cortenova

Un lavoro che si sviluppa attraverso la concezione di un modulo presuppone per lo meno un fatto: che l'artista rinuncia ad inventare spazi e superfici e lavora su questi ultimi in chiave riflessiva, privilegiando l'operatività e operando concettualmente al suo interno. In questo modo la superficie diventa il punto d'incontro sia del momento fattuale che di quello mentale. Ora, non saprei se il fatto comporta rinunce dolorose a tutte quelle attribuzioni che si configurano nell'antica magia, nel sortilegio prezioso di una concezione antica e romantica dell'arte; rimane certo, tuttavia, che il fenomeno va inquadrato in un impulso a "regredire", a sottrarre per acquisire poi operazioni di somma diverse, interne ai valori operativi dell'opera e non a quelli fantastici, impalpabili, eidetici. L'artista restringe il propria campo d'azione, e casi facendo, ad esempio, non si trova più ad immaginare spazi, a confezionare superfici, ma gli si apre davanti il problema "della" superficie ed entra in un territorio meditativo, laddove la limitazione del tema gli permette di lavorare sulla vastità e complessità del tema stesso: non inventa superfici, ma riflette sulla superficie.

E' evidente che, adesso, ciò che appariva una semplificazione si rivela, invece, carico di aspetti complessi, un corpo organico che non permette facili soluzioni. A questa punto avviene la seconda scelta di metodo, che non è necessario far risalire a Bacone, anche se ciò rientrerebbe nella più assoluta correttezza teorica. L'artista, infatti, sceglie di operare per tappe successive e invece di "captare", d'intuire, di voler risolvere o segnalare l'idea illuminante e la complessità del problema, preferisce tracciare una rotta molto più sistematica, intuendo ciò che si presenta come complesso ed esaminandolo a partire dalle forme più semplici. Dunque non interpreta un problema, ma vi opera all'interno, non lancia messaggi consolatori, ma si appropria di una prassi conoscitiva.

L'arte possiede ormai una lunga storia in questo senso e presenta momenti conclusi e altri ancora aperti, intervalli di ricerca, flessioni ed entusiasmi, anche attuali riprese. In questo ritmo disuguale va inserito il lavoro di Pope, che si sviluppa ormai da parecchi anni e che appare solidamente ancorato ad una simile concezione del fare arte. Pope lavora su di un sistema modulare, i cui termini sono quindi intercambiabili e la cui struttura si dimostra aperta a qualunque interferenza fruitiva: voglio dire che possiamo invertire l'ordine, comporre diversamente la successione e gli accoppiamenti, secondo sollecitazioni che il lavoro stesso ci rilascia sulla base di un implicito progetto. Ma questo è solo un aspetto del problema, perché se l'autore traccia con interminabile pazienza le sue strisce, generando superfici che si attuano nella fattualità stessa, è ugualmente interminabile la sequenza che verrà e quella che precede lo spezzone di lavoro davanti al quale si trova l'osservatore. E' vero che Pope struttura a trittico, a dittico, a singola opera il suo programma lavorativo, ma è anche vero che il tutto non esclude mai la continuità, anzi, di questa se ne avvale approdando ad una catena tendente all'infinito, di cui ciò che vediamo non sono che momenti estrapolati, tempi-lavoro estratti dal tempo-lavoro continuo, proposto come pratica sulla e della superficie.

In altre parole, quella traccia di Pope conquista anche la parvenza del "diario", nel quale non ritroviamo le tradizionali confidenze, le annotazioni spicciole degli anni e delle giornate, ma una riflessione continua su quel tempo che esso si predispone a testimoniare, di cui ne è la metafora più quotidiana e fattuale. Anzi, il "diario" si costruisce giorno per giorno nelle sue strutture portanti: come se ne "dicessimo" i termini di cui si compone, come se ne tracciassimo il foglio, la data, la riga dell'appunto. Esso non è che il diario del diario, e, di conseguenza, la superficie della superficie, la diagonale della diagonale.

Le tracce di Pope si propongono come una serie diagonale di enunciati, che non rimandano ad altro che a se stessi, e che vengono, di segno in segno, sottratti alla segretezza in cui li tiene il periodare, la proposizione, la frase, l'organicità istituzionale della pittura. La decodificazione ha perciò il suo esito e la sua strategia nella pratica stessa della teoria; ma sarebbe meglio dire che tutto si esplica solo ed essenzialmente nella strategia e che essa rivela il potenziale di "desiderio" che la provoca e di cui è l'espressione reperibile. Il segno, dunque, come strategia del desiderio e come desiderio della strategia. Si tratta di vedere come la "macchina" funziona, come la "tattica" si sviluppa: in tale problematico Pope ha inserito il proprio lavoro e i suoi futuri sviluppi.

Giorgio Cortenova

Bologna, giugno 1977



 

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