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1989-2002


Dialogo 1991

Pope, Claudio Olivieri, Diego Collovini

Alcuni si domandano se il pittore ha bisogno di sapere altra cosa che vedere, e servirsi dei propri mezzi.
Paul Valery


Diego Collovini: L'esperienza della Pittura-Pittura, puntualmente teorizzata da Filiberto Menna, ha, per certi versi, riaffermato la validità storica della pittura, e dato l'opportunità all'arista di riflettere sulla pittura stessa, ma anche sulla validità del suo linguaggio. Questa esperienza, dalle alterne fortune e dai diversi nomi (anche Pittura Analitica e Nuova Astrazione) rappresenta, secondo me, l'ultimo tassello originale della storia della pittura. L'azione materiale del "fare" si coniuga con l'azione del "pensare analiticamente" gli elementi espressivi come il colore, la luce, il segno, la superficie, che sono poi gli elementi che in realtà hanno scritto la storia della pittura.

POPE: Certamente per me, quel periodo fu un'esperienza significativa, poiché in essa vi ho letto una profonda riflessione sui temi della pittura. Quando ho abbandonato le esperienze optical, ho automaticamente spostato le mie ricerche dalla percezione del colore allo studio del colore come progressiva ricerca della luce. E stata però anche l'occasione per riscoprire una certa continuità nella pittura. Voglio dire che si può parlare serenamente di un "fare", ma questo non può essere nettamente isolato da un percorso storico dell'arte. L'azione creativa della pittura non si limita a compiere un'azione temporanea legata al puro atto oggettivo del fare, in quanto ogni agire individuale porta con sé l'esperienza, e questa non è altro che il risultato, anche se inconscio, di una conoscenza e di una memoria. Spesso la semplice lettura dell'opera d'arte è causa di false interpretazioni. Ma essere pittori vuol dire anche inserirsi in un percorso artistico che appartiene consequenzialmente alla storia e alla sua tradizione. Per un pittore il palese riferimento al passato è sempre indice di povertà di idee.

Claudio Olivieri: Appartenere alla storia non vuol dire che la storia, o i sincronismi apparenti con la storia, debbano comparire come ingredienti di tutela, come garanti indiscutibili. La pittura è nella storia solo a patto di arrivare ad ucciderla, a gettarci nell'odio di tutte le storie. Certo è vero, la pittura si fonda su pochi ed immutabili elementi nella sua materialità, ma nella sua essenza tutto è più problematico. Che dire dell'irriducibilità del colore a qualsiasi quantificazione, del suo sfuggire alle teorizzazioni, del suo sempre mutevole rapporto con la luce? Ogni epoca ha tentato di fare del colore un proprio uso, di renderlo funzionale a qualcosa: alla decorazione, alla psicologia, alla scienza, alla morale. Il colore è stato scientifico, simbolico, dionisiaco, puro visibilista, strutturale, consolatorio, ha tenuto a freno o scatenato: ma è ancora là con tutto il suo intatto mistero.

D.C.: L'astrazione, intesa come momento che interpreta l'uscita dagli schemi identificativi con la realtà, o ancor meglio, quando l'artista sceglie un elemento formale della realtà, per poi svilupparlo ed interpretarlo con la forza della propria individualità, della propria esperienza artistica, permette una comunicazione che non è sorretta unicamente dalla rappresentazione individuale di un atto artistico, quanto piuttosto dalla ricerca della possibilità di comunicare un'identità, sì autonoma, umana ed indipendente, ma non essenzialmente individualistica, perché comunque nasce dalla memoria che appartiene però alla pittura e che spesso ne segue e si identifica con i suoi percorsi storici senza per questo essere per forza un elemento della tradizione pittorica.

C.O.: L'idea di tradizione che oggi vediamo prevalere è ingannevole e proprio perché è un'idea. Sia che la si usi per fare da sponda ai tentativi neoavanguardistici, eternamente bisognosi di confronti in negativo, sia che esse ne ricalchino i modelli per produrre fantasmi-retorici. Una delle beffarde sconfitte del sistema culturale contemporaneo sta proprio nell'aver ridotto tutto a tradizione (del nuovo o dell'antico che sia) nel tentativo di mascherare la propria convenzionalità: così il saccheggio delle tradizioni serve solo a trovarvi surrogati connotativi, per arraffare una purchessia riconoscibilità, per legittimare il proprio operare in un alveo critico, che offra quella complicità senza di cui semplicemente non esiste. La tradizione, mutilata della sua parte vitale, cioé della memoria, è in realtà diventata un mero strumento retorico, e soltanto ciò che evidenza la propria appartenenza al gioco dei rimandi, ciò che si legittima con l'obbligatorietà dei percorsi, ciò che c'è solo perché prende il posto di qualcos'altro, perché nega, o finge di negare qualcosa, solo quello è riconoscibile.

POPE: lo penso che più che di tradizione si debba parlare di memoria, poiché non è possibile per un pittore uscire da una realtà artistica in costante evoluzione, che, comunque, in questo suo percorso storico mira alla definizione, alla specificazione e all'approfondimento dei suoi elementi costitutivi. Ne è certamente un esempio la storia dell'astrattismo. Nella graduale evoluzione dei linguaggio astratto sono leggibili le memorie storiche. Si assiste ad un'idea di ripensamento intesa non come una variazione sulle sue possibilità espressive di un dato sistema linguistico, quanto piuttosto il "pensare" diversamente in un contesto artistico ed espressivo nuovo, senza con questo isolarlo dalle sue esperienze del passato, alle problematiche suscitate e anche alle riflessioni sulla pittura in generale. Credo che la pittura non sia solamente un'arte, ma anche un sistema di comunicazione che si identifica con un preciso percorso storico e che porta con sé le molteplici problematiche che in fin dei conti sorreggono la storia della pittura stessa.

D.C.: Il vostro costante riferimento alla memoria, alla storia della pittura e, di riflesso, al vostro lavoro, conduce ad una riflessione sul concetto di astrattismo, la cui recente storia, iniziata con Kandinskij, e in Italia con Balla, è un po' l'espressione di una volontà creativa non ancora uscita dalla logica della pura ricerca. Molti degli elementi linguistici della pittura non sono decisamente definiti, né hanno esaurito la loro portata espressiva, poiché se è vera la loro reciprocità con la storia, gli elementi linguistici della pittura non saranno mai in possesso di una definizione immutabile, poiché mutabile è la storia e l'uomo. Ne consegue però che alcune delle letture ed interpretazioni recenti della pittura non escono dal vizio di una identificazione con lo sperimentalismo o con l'erronea provvisorietà propria della ricerca. Ma si sa che la tradizione storico-critica italiana ama gli artisti che sono considerati le grandi sintesi dei periodi storici (l'uomo rinascimentale) e si dimentica invece degli artisti che hanno aperto nuove vie e affrontato nuovi linguaggi.

POPE: La pittura non può vivere di "un codice espressivo" vi è certamente una mutevolezza nei suoi elementi espressivi ma non possono essere completamente mutevoli, in quanto conducono ad una grammatica espressiva che si inserisce gradualmente, ma con una certa intensità, in un ambito socio-espressivo accentuandone le tematiche temporali. L'arte astratta cioé può essere presente nella realtà storica, ma solo come elemento distintivo di un'epoca. Il fare pittura come ricerca, per quanto mutevole, non è mai una ricerca provvisoria poiché, come s'è detto, si nutre della memoria, per rendersi gradualmente autonoma e seguire nuove grammatiche e nuove sintassi.

C.O.: Io sono convinto che solo con la pittura astratta il colore rinasce e ripropone i suoi interrogativi, ci pervade col suo arcano inesausto divenire. Le banalizzazioni storicistiche che sono alla base di tante storiette dell'arte moderna e contemporanea hanno bisogno soprattutto di definizioni, di modelli, di referenzialità concettuali. Ma il destino della pittura è anche il nostro destino, che il falso abbia estromesso il vero, che si viva la celebrazione della morte dell'arte, sono i balletti di chi si vede sopravvissuto. La pittura ha bisogno solo di un altrove silenzioso, perché essa è sorella del silenzio e dal silenzio è sempre accompagnata. Perché la pittura sa ciò che non sanno le parole.




 

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