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1963-1974


Pope, Udine 1974

di Giancarlo Pauletto

Molteplici partenze sarebbero possibili, per un'analisi di queste tele di Pope. A me sembra particolarmente significativa, tra le altre, quella che tiene conto delle idee della "Psicologia della forma", la tedesca "Gestaltpsycologie": secondo la quale le trame di stimoli visivi che costituiscono le immagini provenienti dal reale, non sono precostituite, puro specchio del campo visivo percepito; ma sono invece ordinate dalla disposizione conoscitivo-emotiva del soggetto il quale, dunque, compone e ricompone l'immagine complessiva della realtà secondo proprie esigenze conscie ed inconscie - per lo più inconscie, io penso, e credo anche Pope - in quanto determinate da una storia personale e sociale le cui premesse non sono normalmente messe in discussione, ma accettate come "naturali", mentre invece sono per lo più accidentali e mutevoli.

Da ciò la portata "pedagogica" di questa pittura: nel senso che essa intenzionalmente vuole insegnare ad andar oltre il puro, meccanico "vedere", per giungere al "guardare", che significa appunto un intenzionare l'immagine secondo tutti i possibili significati, e quindi un uscire dalla fruizione dogmaticamente utilitaristica, e perciò settoriale, della realtà.

Ed ecco appunto le varie possibilità di fruizione delle tele: nelle quali è possibile cogliere lo svariare stesso della struttura, a seconda non solo del punto di vista fisico, ma anche dell'intenzione del fruitore.

Da ciò anche la necessità di usare, nella costruzione di queste impalcature architettoniche "multiple", i mezzi più semplici: la linea retta a comporre il triangolo e il quadrato, e il colore a rincorrersi "tono su tono". Perché proprio questa semplicità, evitando di proporre dei segni-significato già completamente codificati (come può accadere, per esempio, in un paesaggio romantico di Fontanesi) permette una lettura non univoca delle opere, le quali allora rivelano appunto il loro senso di strutture in fieri.

Ma allora questa pittura vuole essere, in certo modo, pre-ideologica: non vuol trasmettere una concezione precisa del mondo, ma piuttosto l'idea che la realtà è un insieme problematico, e che il compito dell'uomo in essa è quello di scegliere consapevolmente il suo punto di vista, poiché altrimenti è il "destino" (cioè il condizionamento sociale, il meccanismo ferocemente non-casuale del cosiddetto "caso") a scegliere per lui.

Non penso che le mie siano illazioni arbitrarie: mi pare al contrario (ma se sbaglio chiedo venia) che si tratti di considerazioni abbastanza scontate, se si parte da una lettura di queste opere che non si affidi solo al primo impatto: il quale potrebbe condurre ad isolarne il fascino cromatico, più che la costruzione. Ed invece proprio essa sottende un significato importante, che potrebbe restar nascosto ad una lettura superficiale.

Si tratta del valore che Pope evidentemente attribuisce al lavoro in sé, alla fatica necessaria per portare a termine la tela così come è stata progettata: fatica tanto più notevole in quanto egli, per lo più, non pensa la singola tela, ma tutta la serie di quadri necessari a verificare una certa ipotesi di lavoro. Anche in ciò si chiarisce, a mio parere, quella sostanza preideologica del suo operare, cui accennavo prima: poiché se il quadro non è più lo strumento che serve ad esprimere una visione del mondo leggibile in positivo, ciò significa appunto l'emergenza di una problematicità, che rende necessario il lavorare per cicli, in quanto un'idea non si esaurisce in se stessa, ma mostra sempre altre facce da esplorare.

Da ciò il significato morale del "lavoro", della fatica artigianale che non è però fine a se stessa, ma risponde ad un progetto, e sia pure un progetto che non è sicuro del suo sbocco. In tal contesto non è neppure proponibile, io credo, un giudizio di valore estetico definito, articolato: esso infatti è correlato necessariamente a un contesto ideologico precisato, ad un "modello", che è proprio ciò che in Pope manca.

Perciò dirò che il fascino di queste opere consiste per me non tanto nel loro singolo in sé, rispetto al quale si potrebbe parlare, in qualche caso, anche di decorazione, di non attinta intensità; ma nel fatto che esse sono, in definitiva, un'opera sola non ancora compiuta, nel la quale si costruisce faticosamente, a furia di lavoro e di impegno, un tentativo di ristrutturazione, e quindi di ricomprensione simbolica della realtà, che ha il senso profondo di tutta l'illimitata avventura gnoseologica dell'uomo.

Giancarlo Pauletto

Udine, 1974



 

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