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1975-1988


Pope, Portogruaro 1983

di Giancarlo Pauletto

E' stato attorno al 1910 che in pittura si verificò una svolta determinante. Alcuni artisti si resero conto che un quadro poteva essere fatto anche soltanto di forme e colori: o meglio, che non era necessario che queste forme e questi colori rappresentassero qualche cosa - alberi case uomini o tavolini o chitarre etc. etc. - per essere interessanti, belli, espressivi.

Era nata cosi la pittura “astratta” cioè, per esprimerci in termini correnti, la pittura senza figure, o "non figurativa". E fu una cosa molto importante, se è vero come è vero che moltissimi sono da allora gli artisti che seguono questa via.

All'interno di essa poi, si verificò rapidamente un'ulteriore distinzione: quella tra chi si serviva di forme e colori per esprimere direttamente sentimenti, passioni, stati d'animo - è la linea dell'astrattismo lirico/espressionista - e chi, invece si metteva davanti alla tela con l'animo piuttosto dell'architetto, del "progettista”: di colui cioè che costruiva il quadro come un nuovo oggetto, legato a sue proprie leggi interne di preparazione e di equilibri cromatici.

L'attività di Pope si inserisce appunto in questa seconda direzione, naturalmente con caratteristiche che si sono via via venute chiarendo nel corso di questi ultimi anni e all'interno delle quali egli trova la sua consapevole collocazione.

Vediamo di chiarirne qualcuna, aiutati anche dalla precisa anche se molto sintetica scelta espositiva che Pope ha effettuato in questa occasione. Nella mostra sono testimoniati i tre momenti principali della sua attività di quest'ultimi dieci anni: in ordine di tempo si tratta della fase "gestaltica", legata cioè allo studio della percezione visiva di forma e colore, della fase dei "percorsi variabili" e di quella - ultima in ordine di tempo e di abbastanza recente inizio - che si esprime con coperture dorate effettuate sopra precedenti opere.

Il momento gestaltico è quello in cui meglio si scopre il fondo progettuale di questa pittura: si tratta infatti di opere costruite a partire da un'ipotesi cromatica e di partizione dello spazio molto ben precisata già nell'idea, tale da rendere poi “automatica", cioè completamente determinata, l'esecuzione del quadro, che è già tutto prima, appunto, nel "progetto", come un edificio architettonico è già tutto, in un certo senso, nel disegno dell'architetto. In questo caso il "progetto" serve a verificare il risultato plastico di un determinato uso dei gradienti cromatici, uso seguito in modo molto esatto laddove appunto l'esattezza della esecuzione, il suo totale controllo è assolutamente essenziale all'opera, che non potrebbe neppure esistere senza di esso.

Sicchè in questa fase Pope esprime la sua adesione ad un momento tipico delle neo-avanguardie, quello che ha la sua origine storica soprattutto nelle concezioni del costruttivismo russo e che trova successivi svolgimenti nella vicenda della Bauhaus, la celebre scuola di arti applicate fondata e condotta da Gropius in Germania durante gli anni venti, e poi via via in altre esperienze, in particolare quella “optical”. Il secondo momento testimoniato, quello dei "percorsi variabili", mentre mantiene del primo l'idea della progettualità, per quanto ridotta all'essenziale, e quindi l'idea della perfezione esecutiva, aggiunge un elemento nuovo, e determinante per il senso stesso dell'operazione, che è quello della dislocazione delle opere - meglio sarebbe dire dei "manufatti" - in uno spazio determinato.

Il percorso infatti è costituito da un certo numero di "pezzi" di forma quadrata o rettangolare che vanno necessariamente "montati" in uno spazio adeguato, e possono assumere dislocazioni diverse, evidentemente a discrezione di chi li usa.

Proprio questo "dislocare nello spazio" è l'elemento di creatività che viene lasciato al fruitore, il quale è cosi invitato a farsi, in qualche modo, architetto artista anche lui nel momento in cui sceglie una dislocazione al posto di un'altra, un certo genere di proporzione al posto di un altro, un equilibrio anche con eventuali altri elementi presenti nello spazio da utilizzare piuttosto che un altro. Ed è giustappunto in questo invito che risiede, come si diceva, il senso più importante dell'operazione.

L'ultimo momento infine si annuncia molto interessante, anche perché sembra suggerire una fase di ripensamento e di riflessione sulla storia e attività passata, ciò che avviene mediante l'accoglimento di un'esplicita apertura simbolica, che diventa centro dell'operazione artistica. Qui infatti Pope "ricopre" con l'oro sue opere precedenti, lasciando però che qualche lacerto, qualche "ferita" o macchia emerga da quello che lo spettatore è ormai autorizzato a considerare il suo "vissuto" d'esperienza, il suo "passato". L'opera perde i suoi caratteri di assolutezza progettuale, riassume - o assume per la prima volta - connotati psicologici ed esistenziali, con un'apertura - dico un'apertura - verso esperienze neo-informali.

In conclusione una mostra breve, ma meglio sarebbe dire molto concentrata, molto ricca di sollecitazioni, che attraversa sinteticamente un ampio spazio delle tematiche dell'arte d'oggi.

Giancarlo Pauletto

Portogruaro 1983




 

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