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1989-2002


Le tele di Pope per San Vito al Tagliamento

di Chiara Tavella

articolo tratto da "Il Sole 24 Ore".


Scrive Malevich nel catalogo della X mostra di Stato tenutasi a Mosca nel 1918: "Il suprematismo e' il semaforo del colore nell'illimitato. ho attraversato lo schermo blu dei limiti del colore e sono penetrato nel bianco; vicino a me, compagni nocchieri, navigate in questo spazio senza fine. Un mare bianco si stende davanti a voi". Ed e' la mostra in cui Malevich presenta, tra una quindicina di opere suprematiste, anche quel "Quadrato bianco" su fondo bianco destinato a segnare un riferimento imprescindibile per la modernita', il punto di non ritorno, toccato il quale non sarebbe piu' stato possibile "dipingere", se non con la coscienza dell'inconsistenza "ontologica" degli elementi minimi del linguaggio pittorico, forma e colore.

Con il "Quadrato bianco", Malevich "ha toccato il limite consentito dalla pittura, l'hs reso visibile", scrive Dora Vallier. A Malevich bisogna riandare per inquadrare la mostra dell'artista portogruarese Pope, apertasi ieri nello spazio dell'ex falegnameria, cellula dell'Antico Ospedale dei Battuti di San Vito al Tagliamento (Pordenone). Da evidenziare che questa mostra e'organizzata da Punto 6, associazione culturale costituita da sei artisti, che rappresenta una delle realta' piu' attive, in provincia, sul fronte dell'artec ontemporanea.

Pope e' tra le voci piu' rigorose e coerenti del panorama artistico, e non solo locale. Formatosi a Roma, a Fano, a Venezia, dove, nel 1968, si diploma all'Accademia di Belle Arti, approda verso il '70, sull'onda di un'istanza ideologica che muove dall'impegno politico-sociale, all'astrazione geometrica, all'Optical Art e al suo illustre antenato, il Costruttivismo, a Vasarely e a Malevich. A questa matrice linguistica, al rigore di una pittura che s'interroga fin nell'intimo dei suoi elementi costruttivi (ed e' percio', ben piu' che tanta figurazione superficialmente impegnata, segno di una profonda esigenza etica) la sua ricerca rimane fedele fino ad oggi, pur nell susseguirsi di diverse fasi.

Lo si coglie bene in questa mostra, in cui sono presentate opere che coprono all'incirca l'arco di un decennio, dal '90 al 2000: dal "Grande Bianco", tela monocroma giocata sulle variazioni di texture, ai ritmi bianco-neri del tondo della serie sulle "Bande Acromatiche"; dalle forme "quasi" quadrate in blu cobalto - il blu di cui parla Malevich? - dell'Omaggio a K. (che sta appunto per "Kasimir" Malevich), alle recenti sculture, anch'esse comunque "superfici", lastre di ferro ricalcate sui quadrangoli spigolati, sberciati, della pittura.

Opere indicative non tanto di un percorso cronologico, quanto di un ventaglio di possibilita' linguistiche: il bianco del "Grande Bianco" si increspa di un lieve contrasto di texture, come fossero piume e sabbia; la rigidita' programmatica della figura geometrica, del quadrato o della "banda", si attenua in contorni irregolari, zigzaganti; le superfici piatte, continue, del colore puro si interrompono e lasciano, appena, intravedere una lama di giallo, come si trattasse di un piano poi cancellato.

Questa fase della ricerca dell'artista dunque (che, non a caso, prende il titolo cumulativo de "Il tempo della pittura") si ferma un attimo prima dell'azzeramento totale del bianco puro, del "nulla svelato", risale al colore e, pur entro i limiti cosi' stretti del presupposto stratto analitico, riscopre la gioia pura della forma in se', liberata di una dimensione estranea a ogni esigenza "altra", se non quella di cantare "il tempo - appunto - della pittura"

Chiara Tavella, 2001




 

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