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1989-2002


Pope, dialogando con la pittura

tratto dal catalogo delle mostre presso:
Galleria d'arte Moderna Comunale, Portogruaro. 7 aprile 2002
Galleria Liba, Pontedera (Pisa). 13 aprile 2002
Galleria Palladio, Udine


a Pope

Ti entra negli occhi l'acqua
chiara di nostalgiche luci venete
e il sangue romagnolo
si arricchisce di ombre.
Sul muro bianco
Malevic stende con cura
l'invisibile stendardo rosso
e intanto
un vento freddo
asciuga la terra.

Cattolica, febbraio 2002
Vincenzo Cecchini

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P: pittore, professore, pacifero, pastoso, portogruarese, palladiano, palpabile, palpitante, paracomunista.
O: onirico, occhialuto, odorista, oggettivista, ombrettaro, onnivoro, operoso, oltremare, ospitale, oltrelemene.
P: partecipante, punzecchiatore, professionale, proletario, puntiglioso, promettente, praticante, probante, precorritore.
E: eloquente, esistente, eccitante, elogiato, emancipato, enbrassons-nous, esteta, estasiato, edonista, erudito.

Carmelo Zotti, febbraio 2002

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Pope, traghettatore di rigore.

Sembra ieri e invece è stata una quarantina d'anni fa che con Pope e qualche altro si faceva "squadra". Lui da Portogruaro, io da Padova, avevamo nell'Accademia a Venezia un luogo dove lavorare e discutere. Maestri e assistenti ci avevano dato praticamente carta bianca e per noi, giovani artisti senza atelier, l'Accademia era una posizione "del fare" e nel contempo il crocevia e l'agorà dove misurarci con le ansie, i subbugli e gli entusiasmi che il nostro turno generazionale ci assegnava.
Tenevamo entrambi "L'Unità" in tasca come una bandiera eppure mai e poi mai, era un'idea comune, Pope pensò di mescolare la politica con la pittura. L'impegno civile era una cosa, il fare artistico un'altra. Come nella ricerca scientifica l'unico valore era la libertà assoluta e consapevolmente slegata da ogni pretesa di utilità: niente è più indispensabile del superfluo come musica, poesia, pittura...
Così, senza nessuna concessione alle mode e ai fuochi di paglia riservati agli abitanti dei grandi centri, Pope, sorta di monaco senza regola e senza il conforto di confratelli con cui condividere orazioni e canti, ha lavorato da certosino a quadri su quadri, a immagini su immagini, ora godendo, ora disperando, intorno alle loro infinite variazioni. Era così a Venezia negli anni in cui dentro tele quadrate e scure collocava intriganti tondi di pittura astratta-espressionista, è stato così quando in incontri scanditi da lunghe manciate d'anni capitava di vedere i suoi lavori sempre piu' essenziali e mirati.
Un abbraccio, poche battute, un "ombra" di vino e sapevi che lui, stando nella sua Portogruaro, mentre tu ti illudevi di rincorrere chissaché, aveva lavorato senza mai perdere la tramontana. Con quell'appellativo dall'incerta origine infantile, con cui per altro a Venezia si chiama il barcaiolo, Pope, è certamente uno che sa leggere le stelle e navigare senza sosta traghettando valori rari, in pittura come nella vita: fedeltà, coerenza, rigore...

Elio Armano, marzo 2002

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Ci sono nell'arte degli "ordinatori", nel senso che mettono ordine, dei "riduttori", nel senso che riducono all'essenza; ebbene Pope è uno di questi. E una contraddizione interessante è che questo incessante operare nella direzione dell'ordine geometrico, questo depurare attentamente le scorie e le tracce espressionistiche non è una operazione conservatrice o pacificante, ma al contrario una istanza rivoluzionaria.
La rivoluzione inizia dal mettere le cose in ordine: però questo ordine, questa purezza, non dà pace alla sua vita, che resta una ricerca inquieta.
Amo pensare che Robespierre togliesse la polvere dal tavolo ed allineasse le matite: e non so se Pope allinea le matite, probabilmente lo fa, o amo crederlo. (Che Guevara non aveva tavoli né matite, temo).
Un fatto accertato è che Pope distrugge moltissimi quadri del suo passato, e la totalità degli schizzi e dei progetti, cosa che non può che sconvolgere uno che come me ha il mito della "traccia". Ma appunto, siamo diversi.
E lo fa senza curarsi minimamente della loro possibile e cosidetta "qualità", poiché non è questa che gli importa, né la registrazione di un operare, ma soltanto il tentativo di chiarificare il concetto stesso di pittura, di portarlo fuori dal fango espressivo, di affermare un concetto superiore di arte, un'arte che affermi la volontà di chiarire, di cambiare il mondo per il meglio.
Poi c'è, ben nascosto, uno sviscerato amore, un rispettoso affetto per alcuni, pochi, segretissimi maestri. E c'è, noto rifugio degli inquieti, un sincero attaccamento alla tecnica, al "ben fatto", al supporto ed al pigmento.
Questi astrattisti puri (?) mi sembrano a volte dei Templari, con i loro riti, il loro segreto, il loro Graal: che è pittura, astratta sempre, rivoluzionaria nel cuore, in qualche modo negata dalle mode, forse più simile alla filosofia che alla pittura.
Solo chi abbia dipinto può capire quanto profondamente, a livello muscolare e motorio prima ancora che mentale, questa pittura sia diversa dalle altre.
E probabilmete è questo risalire ad un archetipo essenziale, che fa di certa pittura astratta più rigorosa una costante ripetitiva nella storia dell'arte contemporanea. Le matite in fila sul tavolo, insomma.

Paolo Patelli, dicembre 2001

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Rispondo con piacere all'invito dell'amico Diego di rivolgere un pensiero, una breve riflessione sull'altrettanto amico e collega Pope, in occasione di una sua mostra personale alla galleria Ai MOlini della città di Portogruaro.
Lo faccio subito e ben volentieri. E mi riesce perfino facile esprimermi sull'uomo Pope, tanta è la stima e la simpatia che provo per lui, non altrettanto facile mi risulta però farlo sull'uomo pittore e vedremo poi il perché.
Dico subito che è un uomo di fine cultura, comunicativo e spesso estroverso - preso per il verso e il momento giusto - almeno sino a che non si tocca il tasto pittura, allora diventa un altro cambiando immediatamente registro e tutta la sua amabilità ed eleganza lasciano il posto ad una perentorietà di pensiero, che chiude ogni spazio al gioco possibilistico dei linguaggi. Da questo momento Pope diventa solo se stesso e cioé uomo difficile, perfino a volte urtoso, e lo dico in senso buono naturalmente, arroccato su principi assoluti, certi, immodificabili, dogmatici.
Una certa resistenza che provo nei suoi riguardi, e lo dico sorridendo, sta proprio qui: egli non ha dubbi, la verità è una soltanto, assoluta, come la geometria dei suoi pensieri plastici.
E' una certezza che oramai persegue da molti anni, irreversibilmente e orchestrata su un'impalcatura mentale rigida, precisa, inflessibile ad ogni possibile alito esterno e di natura altra che non sia la sua. Invidio questa sua sicurezza perché è la sua forza e forse la mia debolezza.
Del resto, e per come lo conosco, tutto il suo percorso di pittore risponde fedelmente a questo principio e cioé di massima coerenza stilistica in cui la ragione mai cede il posto a qualche seppur devianza, tanto meno se di natura sensibile. Ecco, la sua sensibilità è soltanto quella del logico, del matematico, del razionalista per eccellenza, esattamente come le sue scansioni plastiche, spazialmente e millimetricamente perfette, immodificabili come l'evento del solo ragionamento e mai dell'ispirazione.
Nonostante tutto Pope si crede un poeta: non lo è! Forse è qualcosa di più.

Ennio Finzi, marzo 2002

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Pope mi dice "tu fai troppo quadri in uno. Ogni tuo quadro lo potresti ritagliare, separare, moltiplicare". Pope dice "ogni forma ha un colore, così che un colore non può che originare una forma".
Io scopro lacerti di colore ai bordi delle sue forme, colori (materia) precedenti al colore ultimo "cangiante".
Scopro rimandi, giochi a margine, che inibiscono il senso del tempo, senso per me intrinseco al lavoro e indispensabile nella sua evidenza.
Pope "romantico" ama Malevich e il fondo oro, Licini, Kline, e la boheme (gli amici tutti), lo dichiara e lo nasconde, annulla il tempo e si fonde con loro: "il tempo giocato".

Venezia, marzo 2002
Mauro Casarin

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Caro Pope,
mi distrae troppo il nostro lavoro per aver desiderio di metter mano alla penna, sono anche bravo nel sottrarmi inventado scuse ma per te non ne trovo.
C'é in casa un quadretto 60x30 con una affettuosa amicale dedica datata 1988: nero profondo con improvvisi misteriosi significanti squarci. Ormai fa parte della casa. Non abbiamo mai parlato molto di quadri tu ed io (mi capita di rado, preferisco farli), non ci sono divergenze fra di noi in quanto percorriamo strade simili e soprattutto sappiamo bene come deve essere la pittura pittura e se ci incontriamo c'é sempre un bicchiere di vino davanti che ci assicura della nostra amicizia.
Fra i ricordi il più preciso: la nostra mostra "Doppiamente" a Pordenone, 1990, Chiesa si S. Francesco con testo dell'amico Claudio, confortati dagli amici di Portogruaro.
Basta così, non è il caso di fare bilanci, siamo giovani e c'è ancora molta tela bianca.
Un abbraccio da Carlo.

Udine, 27 febbraio 2002
Carlo Ciussi

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Scrivere una testimonianza mi fa così andare a circa tren'anni fa quando mi recavo a Portogruaro dove Turchetto stampava manualmente serigrafie. Allora il mio interesse era volto alla linea retta e al colore puro e quella tecnica mi sembrava particolarmente adatta a realizzare quanto avevo in testa. Fu allora, proprio in quella piccola stamperia, che incontrai Pope, il quale, oltre a stampare opere sue, dava una mano.
Fui colpito dalla sua giovialità, che tuttavia lasciava spazio ad una certa aggressività come (almeno credo) riverbero delle azioni e dei pensieri del '68; aggressività poi trasfusa nel colore e nello strappo, nella sua opera di pittore. Era giovane e con un futuro davanti. Fummo subito amici, e anche se la distanza non permise grandi frequentazioni, oggi ritrovarci è stato (ed è) come se ci fossimo lasciati il giorno prima.
Spesso assieme abbiamo bevuto il vino di coloro che non hanno nulla da nascondere e spesso pensato all'idea che ci ha fatto pittori.

Cividale, 2 marzo 2002
Aldo Colò





 

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