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1989-2002


Pope. Per semplice, liberissima pittura: dalle superfici alle "colonne"

di Dino Marangon

Fatte proprie le raffinate tecniche e le segrete alchimie della pittura, profondamente sperimentate nel corso di una complessa formazione, perfezionata facendo tesoro delle straordinarie risorse di 'mestiere' di un 'maestro' come Bruno Saetti, Pope, quasi "... ossessionato da un'esigenza di rigore assoluto ..." [1] già durante il suo alunnato accademico ha saputo superare le vischiose lusinghe di ogni mera abilità esteriore, indirizzando subito i propri impulsi creativi all'interno di una solida prospettiva analitica.

Dopo un ciclo di opere incentrate sull'esplorazione della "forma intesa come ritmo spaziale ... ripartito o scandito all'insegna d'una misura colma di silenzi dilatati anche se non alieni da un impegno creativo del colore, esperito quasi sempre con un suggestivo, quanto costruttivo sentimento pittorico della materia...", come ha scritto Rinaldo Fran-Burattin [2], Pope, già a partire dai primi anni Settanta, verrà infatti realizzando un'ampia serie di dipinti caratterizzati dalla premeditata e pervasiva iterazione di bande cromatiche di uguale larghezza inclinate di 45 gradi, a coprire interamente la superficie del quadro.

La apparente estrema semplicità del tessuto pittorico, l'inappuntabile ripetizione modulare e l'assoluta uniformità della stesura del colore - acrilico e molto diluito, fino a penetrare completamente nella tramatura della tela - contribuivano ad evidenziare in quei lavori il superamento di ogni immediata esplicazione della soggettività dell'artista e il conseguente, voluto, distacco tra la concezione logica e strutturale dei dipinto e la sua concreta esecuzione.

In questo modo, come ha osservato Giorgio Cortenova, mentre dipinge, "... l'artista rinuncia a 'inventare' spazi e superfici e lavora su queste ultime in chiave riflessiva, privilegiando l'operatività e operando concettualmente al suo interno ..." mentre il quadro "... diventa il punto d'incontro sia dei momento fattuale che di quello mentale". [3]

Ma, nonostante la voluta, apparente banalità, le opere così realizzate andranno tuttavia arricchendosi di molteplici significati: la sequenza contigua di due toni leggermente discontinui dello stesso colore che animano sottilmente l'uniformità della superficie di illusive emergenze spaziali, darà infatti vita ad una silenziosa verifica cromologico-percettiva, mentre l'insistita bipartizione del tono di colore prescelto, potrà perfino apparire come una lontana allusione alla struttura filamentosa della pennellata divisionista.[4]

"L'apparente monotonia di una struttura che sfrutta con artigianale pazienza e solida razionalità il rapporto che si instaura fra spirito di geometria e spirito della luce..." andrà allora configurandosi, come ha scritto il poeta Tito Maniacco, come "un lungo e fantasioso viaggio".[5] Prenderà insomma avvio un imprevedibile percorso dell'immaginazione che, ad esempio, nella costante inclinazione delle sottili strisce colorate e nella conseguente variazione della lunghezza di ciascuna di esse, farà affiorare sottili differenze, impercettibili incertezze, invisibili squilibri, impalpabili riferimenti e rimandi che sembrano, forse, adombrare segrete volontà di 'uscir fuori', silenziose propensioni a non tener conto della staticità e della conclusa perpendicolarità del supporto, quasi invitando "... a seguitare quei segni, a costruire altri ipotetici piani"[6]: non a caso Pope verrà intanto strutturando i propri lavori a dittico, a trittico, o a polittico, in sequenze nelle quali lo spazio circostante entra a far parte dell'opera come cesura, come stacco, ma anche come campo di espansione.

Si formeranno così variabili concatenazioni all'interno delle quali l'inserimento, nella reiterata successione delle superfici a strisce di pannelli assolutamente monocromi, assumerà l'aspetto di pausa e di modulazione ritmica.

Ma oltre le possibili configurazioni di ogni singola frase, nel "... suo programma lavorativo... il tutto non esclude mai la continuità, anzi di questa si avvale, approdando a una catena tendente all'infinito, di cui ciò che vediamo non sono che momenti estrapolati, tempi-lavoro estratti dal tempo-lavoro continuo, proposto come pratica sulla e della superficie. In altre parole - ha rilevato ancora Giorgio Cortenova - quella 'embiematica' traccia di Pope conquista anche la parvenza del 'diario' nel quale 'tuttavia' non ritroviamo le tradizionali confidenze, le annotazioni spicciole degli anni e delle giornate, ma una riflessione ... 'diagonale' di enunciati che vengono, di segno in segno, sottratti alla segretezza in cui li tiene il periodare la proposizione, ... l'organicità istituzionale della pittura".[7]

Ma ovviamente, nonostante una tale sommersa ricchezza di significati e un così personale quotidiano coinvolgimento, anche in un simile modo di procedere non mancavano i rischi della caduta in una sorta di maniera ripetitiva, della chiusura in una mera fattualità esecutiva, senza l'ausilio del necessario rinnovamento nell'elaborazione mentale e concettuale. Al primo sintomo di un tale, possibile esaurimento, Pope ha comunque subito saputo tradurre anche questa nuova consapevolezza in termini pittorici: velando le sue opere precedenti di una sottile patina dorata, "... lasciando però che qualche lacerto, che qualche 'ferita'o macchia "emergesse" ... da quello che lo spettatore è ormai autorizzato a considerare il suo 'vissuto' d'esperienza, il suo passato." [8]

Ma, al di là di ogni pur attiva "... ipotesi di cancellazion e museificazione di sé..." [9], questa nuova operazione apparirà particolarmente significativa, anche in funzione di una rinnovata concezione dei colore, sempre concepito come tramite di ogni rapporto con il reale, ma, superata ormai ogni precedente assolutezza progettuale, inteso ora sia nella sua multiforme essenza di copertura, di protezione e di salvaguardia dell'anima segreta della superficie che, insieme, di svelamento, di affioramento, di deflagrante apparizione dell'emergenza dell'immagine.

Come sconvolte da una tale rinnovata energia dei colore, tutte le componenti dei dipingere risulteranno allora dialetticamente coinvolte in nuove meravigliose avventure, nell'ambito delle quali i riferimenti e le memorie di una sempre più vasta e articolata cultura pittorica - dall'affascinata esplorazione delle molteplici possibilità-fenomeniche della percezione, alla intensa rimeditazione autoriflessiva sul 'fare pittura', dalla rivisitazione analitica delle poetiche informali astratto-espressionista, alla assolutizzazione quasi spiritualistica della sensazione cromatica di matrice suprematista, dalla scarna strutturalità del costruttivismo, considerato quale "... gioco razionale di nuove forme inventate nella e sulla materia racchiusa in uno spazio geometrico-compositivo ..." [10] alla multiforme e umanissima "libertà" matissiana - verranno riproponendosi in inedite sintesi e connessioni. Ma anche tali sempre rinnovati apporti, lungi dal ridursi a mere citazioni erudite, costituiranno ulteriori spinte a sperimentare con rinnovato vigore "... le infinite possibilità di mettere a fuoco le indicazioni interne al colore ..." [11], nell'intento di garantire nuove forme di espressività capaci di porsi oltre i limiti stessi del 'metodo pittorico' che, come ha rilevato Claudio Cerritelli, ormai, secondo Pope, "... va attraversato, ma anche implicitamente dimenticato al cospetto dell'immagine."[12]

Ecco allora i diversi colori imporsi nello spazio con l'evidenza delle loro autonome e originali energie: dalla silenziosa imminenza del bianco, del giallo, del rosso "totale" - i colori del primo piano della chiarezza apollinea, della presenza alla vertigine infinita del blu, alla sintesi totalizzante del nero assoluto.

In ogni caso le più vaste e libere espansioni cromatiche che ora popolano le grandi e articolate sequenze spaziali dei dipinti di Pope solo apparentemente sembrano in qualche modo risalire o rifarsi ad una più immediata estroflessione soggettiva, mentre, in realtà, anche se non mancano le impercettibili smagliature, le apparizioni di fugaci, marginali balenii iridescenti - forse sintomi di sotterranei sommovimenti dei sentimento, di segrete, imprevedibili commozioni, dell'azione di sommerse, ma efficienti energie esistenziali - nelle apparentemente compatte e sempre grandiose masse coloriche che ora campeggiano sulla superficie dei quadro, l'ordine predeterminato delle pennellate, il profondo rispetto della manualità, l'accuratezza dei procedimenti e delle tecniche pittoriche e la calibrata conformazione dei supporti, tenderanno soprattutto a scavare e a stratificare i più riposti sensi, i più intimi significati del colore, la sua sempre ipnotizzante evidenza, mirando incessantemente alla realizzazione di un'opera che, come ha dichiarato lo stesso Pope, alla fine deve comunque vivere della propria sufficienza sintattica".[13]

Anche in questi suoi nuovi e più liberi risultati l'artista mostra così di aver pienamente conservato le proprie anteriori acquisizioni. Un atteggiamento questo ulteriormente approfondito verso la metà degli anni Novanta, allorché egli si mostrerà in grado di dar vita ad un ulteriore ciclo creativo, nell'ambito dei quale egli sembrerà quasi pervenire ad una specie di sintesi delle sue precedenti ricerche.

Pur tralasciando ogni residuo ottico-percettivo e superando altresì ogni "ideologica" analicità, Pope pare infatti riprendere e approfondire le sue giovanili indagini sulla iterazione delle bande cromatiche senza per altro rinunciare a popolare il quadro di energici e non uniformati lacerti di colore.

Si assiste così allo sviluppo di una più forte e libera formatività, resa esplicita dalla maggior estensione e perentorietà delle liste cromatiche, ora visualizzate nella massima opposizione coloristica dei bianco e dei nero.

D'altronde, l'opera, ben oltre ogni pura e semplice verifica delle modalità dei dipingere, andrà intanto sempre più caricandosi di sottili aperture metaforiche, corroborate da raffinati suggerimenti iconologici che sembrano rimandare al simbolo stesso di ogni umana progettualità costruttiva: la colonna, con le sue striature e scanalature; anche se tutto ciò avviene senza alcuna schiavitù a referenzialità puramente rappresentative, come appare d'altra parte sottolineato dallo scambio di linee, dalle improvvise fratture dell'alternanza del bianco e del nero che, con procedimento che in qualche modo può forse ricordare taluni Licini della metà degli anni Trenta, sembrano come rompere il tranquillo e altrimenti imperturbabile andamento dei caposaldi della composizione.

Anzi, per certi versi, il nuovo oggetto della ricerca sembra cominciare ad essere la stessa libertà, e non solo perché l'articolata conformazione del dipinto non appare più in alcun modo determinata "dall'esterno", dalla combinazione dell'inclinazione preordinata con le dimensioni stesse del quadro, ma anche perché, a conferma della compiuta astrazione dell'opera, i diversi pannelli che possono entrare nella costruzione della colonna sembrano poter superare persino ogni " ... concetto di gravità ..." [14] potendo essere montati, addirittura con il contributo del fruitore, senza tener conto dell'alto e del basso e in generale delle condizioni spazio-temporali che di solito "naturalmente" ci vincolano e ci coartano.

Né d'altronde, le "rotture" e i deragliamenti delle "segnaletiche" zebrature che improntano e caratterizzano questi lavori, combinandosi con l'avventarsi dei rossi lacerti che sembrano quasi squarciare e comunque interrompere l'uniformità della superficie mettono capo ad un insieme assurdo o ad un clima di totale irrazionalità.

Pur avendo perso l'illusione mondriana di poter "eliminare il tragico", almeno dall'arte, tuttavia, sommessamente, ma irriducibilmente, la ragione non rinuncia infatti a tentare di esercitare la propria azione, di verifica e di controllo, ma, ancora una volta, umilmente, essa cerca di trovare magari nella marginalità, la possibilità di intaccare e di tentare di sottomettere la forza brutale degli elementi. Sui bordi, sulle facce laterali del sottile paralielepipedo del quadro, le proiezioni delle diverse "figure" attive nell'opera, vengono infatti cartesianamente a ricomporsi in un reticolo ortogonale in cui il dramma dell'apparizione viene in qualche modo controllato e dominato. Senza rinnegare il proprio passato, Pope sembra in tal modo avvalersi di una sedimentata memoria analitica per dare immagine ad un sempre più sentito bisogno di ordine e di chiarezza, per poter poi esplodere la propria negazione contro la confusione e l'appiccicaticcia nebulosità del nostro universo quotidiano.

Egli pare così voler ripristinare la possibilità di superare il brusio, il rumore e il frastuono per riconquistare la perentorietà del dire, senza per questo appellarsi a sorde e mute garanzie metafisiche, ma rivendicando pascalianamente la propria umana dignità, pur nella compiuta coscienza dell'accidentalità dell'esistere.

Dino Marangon


[1] Da R. FRAN-BURATTIN, Pope, presentazione al catalogo della personale presso la Galleria Comunale d'Arte Contemporanea Ponte dei Molini, Portogruaro, 4 febbraio 1967.
[2] lvi.
[3] Da G. CORTENOVA, Pope, presentazione al catalogo della personale presso la Galleria Piurima, Udine 24 Settembre - 12 ottobre 1977.
[4] A differenza dei Neoimpressionisti francesi nei quali è costante l'uso dei colori ternari, in Previati, come già nel 1916 aveva notato Boccioni in un suo breve saggio sul pittore ferrarese apparso su "Gli Avvenimenti", "... il quadro è costruito a grandi zone complementari, ognuna delle quali si rafforza con la zona vicina, ma in se stessa è composta di un colore puro, unico, a toni graduali e che Previati dipinge a strisce. La "teoria divisionista", specifica ancora Boccioni, esigeva invece che alla formazione di un colore con la sua intensità concorressero possibilmente in matematica proporzione i due complementari. Nella CADUTA DEGLI ANGELI del Previati, proseguiva ancora il maestro futurista, "i raggi di sole sono gialli e luminosissimi, non perché il giallo nelle sue gradazioni sia sostenuto e completato dal violetto con le sue gradazioni, ma perché il giallo generale è formato da un giallo A che rinforza un giallo B, che rinforza un giallo C. Abbiamo quindi un complementarismo di colore nella costruzione delle masse generali e un complementarismo di tono nella costruzione dei singolo colore". (Da U. BOCCIONI, Le Esposizíoni Collettive dí Gaetano Previati e Carlo Fomara a Milano. L'arte di Gaetano Previati, in "Gli Avvenimenti" n' 14, Milano 26 Marzo 1916. Ora in U. BOCCIONI, Tutti gli scritti, a cura di Z. BIROLLI, Milano 1971, p. 406)
[5] Da T MANIACCO, Ma dell'angolo, nel già citato catalogo della personale di Pope, presso la Galleria Piurima, Udine 24 settembre 12 ottobre 1977.
[6] Da E. MICCINI, Pope, presentazione al catalogo della personale presso la Galleria Il Cortile, Bologna 23 febbraio - 7 marzo 1980.
[7] Da G. CORTENOVA, Pope, presentazione della personale presso la Galleria Piurima, Udine 1977, cit.
[8] Da G. PAULETTO, presentazione al catalogo della mostra Pope. Dialogando con la mia storia, presso la Casa dei Popolo, Fossalla di Portogruaro, 24-25 aprile 1983.
[9] Da E. Di GRAZIA, Pope, presentazione al catalogo della personale presso la Galleria La Roggia, Pordenone 16-29 ottobre
[10] 1982. Da D. COLLOVINI, Pope, presentazione al catalogo della personale presso la Galleria Piurima, Udine 10-29 gennaio
[11] 1987. Da C. CERRITELLI, Pope. La Pittura esplora il proprio rilievo nell'ambiente, nel catalogo della mostra Doppiamente. Ciussi - Pope, Ex Convento di San Francesco, Pordenone 7 dicembre 1990, p. 40.
[12] lvi.
[13] Da D.COLLOVINI - POPE, ...Dalogando..., Nel catalogo della personale presso la Galleria Piurima, Udine 27 febbraio - 17 maggio 1988.
[14] Da G. CARBI, Pope. Bande cromatiche, nel cataiogo delle mostre personali presso lo Studio Tommaseo, Trieste, 5 marzo - 6 aprile 1994, la Galleria dei Ventaglio, Udine 12 marzo - 8 aprile 1994 e io Studio Delise, Portogruaro 19 marzo - 15 aprile 1994.



 

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